Maria Rongiossi: Una vita, un dono.

Alzi la mano chi, fra i nati ante 1980, non ha mai avuto bisogno di ricorrere alle cure della signora Maria röngiaossi  di  Santo Stefano!  Chi allora praticava un minimo di attività sportiva  incorreva spesso in slogature o distorsioni se non frattura di qualche ossicino per cui, specialmente la domenica sul far della sera o il lunedì mattina, era una processione di infortunati che facevano ricorso alle sue cure.

Noi ragazzi che giocavamo a “delibera” o a “ nascondino” sul piazzale della chiesa ( tra i rimproveri anche urlati del Monsignore)   quando vedevamo qualche moto o macchina che rallentava per parlarci, sapevamo già che risposta dare:” avanti diritto e poi a sinistra prima del tabacchino”.  Avevamo ottime probabilità di aver dato la risposta giusta prima della domanda!

Per  coloro che non l’hanno conosciuta e che però ne sentono parlare, vediamo un po’ da vicino chi era la signora  Bertona Maria: anzitutto nasce nel 1907  a Vergano da una famiglia numerosa, in una casa a metà  circa della  salita sulla vecchia strada che porta alla chiesa. Fin da ragazzina manifesta questa sua dote particolare, una speciale sensibilità nelle mani, per cui riesce senza saperlo a mettere a posto una slogatura al braccio della sorellina, prendendosi lì per lì anche uno scapaccione dalla mamma, convinta che le avesse fatto ancor più male.

Trascorse una vita normale  fino al matrimonio con Luigi Duella della cascina Bonda di Piovino, ragazzo del ‘98 nonché musicante nella banda del paese, e conseguente trasferimento in una stanza a Baraggioni,  nel primo cortile  ai piedi della salita. Qui la giovane sposa comincia a  sperimentare in modo più ampio le sue doti assistendo le persone del vicinato e del Colombaro, vittime di piccoli infortuni domestici.

A  lei però non bastava la soddisfazione per aver guarito una persona, aveva bisogno di essere confortata in quel che faceva per dote naturale: donna di molti scrupoli, sapeva che le mancava la conoscenza del corpo umano per svolgere con maggior sicurezza il suo lavoro. In questo venne aiutata da una circostanza perché in quegli anni Maria, che non era ancora röngiaossi, lavorava in uno stabilimento tessile di Borgosesia dove si recava, in compagnia di altre amiche-operaie, la domenica pomeriggio a piedi per tornare il sabato pomeriggio successivo. All’interno dello stabilimento svolgeva la sua attività un medico che aveva il compito di assistere i numerosi  operai in caso di infortunio ed a lui la nostra protagonista confidò questa sua sensibilità e predisposizione per sistemare le fratture o slogature. Il dottore, dopo averla messa alla prova,  fu ben lieto di assecondare questa sua voglia  di conoscenze e le regalò alcuni libri di anatomia e medicina. Maria li lesse avidamente sia perché voleva approfondire quel poco che aveva imparato oralmente sia perché questo la aiutava a rinsaldare la fiducia nei propri mezzi. 

Maria e la famiglia

Nel frattempo i coniugi Duella   avevano lasciato la stanza di Baraggioni per trasferirsi a Santo Stefano, nel caseggiato contiguo  a quello abitato dalla  famiglia Fracazzini, nello stesso cortile, e cominciarono ad arrivare i primi figli Luciano, Candida e poi anche gli altri:  Elsa, Marco, Mariuccia e infine Franco, tante bocche da sfamare in un periodo di povertà e poi anche di guerra.

Il marito lavorava presso il Setificio di Borgomanero, “al Scirulè”, e Maria contribuiva con quello che la gente le dava in cambio della sua prestazione: eccola perciò correre in bicicletta là dove si presentava un problema di frattura o altro infortunio. Talvolta il paziente era anche una mucca o un cane o un altro animale:

 La vaca dal Majic l’è stacia ligaa cun la cujela par tri di ci racconta il figlio Marco che da piccolo  aveva accompagnato la mamma a sistemare la gamba di questo povero animale che, dopo essere caduto a gambe larghe , non si reggeva più in piedi e perché si potesse intervenire era stato appeso con delle corde al soffitto della stalla.

Da questi interventi la signora Maria rientrava magari con un po’ di burro o delle patate o un coniglio, raramente con denari perché i contadini di allora erano poveri quasi quanto lei. Per fortuna arrivava anche gente dai paesi limitrofi e questi lasciavano per riconoscenza qualche soldino che aiutava a tirare avanti la baracca. Ma non sempre era così .

“ Talvolta si rivolgevano a lei persone che non avevano slogature o fratture, bensì l’artrosi o qualche altra infiammazione ai nervi. La mamma lo capiva e consigliava loro di fare impacchi con le foglie di “uniscia”( ontano) che nella massima parte dei casi portava effettivamente dei benefici. Le mance in denaro che queste persone volevano lasciare per sdebitarsi mia mamma le metteva tutte in una busta destinata alle offerte per la chiesa o per altre destinazioni perché diceva che lei non aveva fatto niente, non le ha mai usate per le  necessità della famiglia suscitando talvolta anche qualche rimbrotto da parte del marito.

 Ricordo, per esempio, che quando ci furono i funerali della mamma si presentarono due persone sconosciute che affermarono di essere stati da lei  adottati  a distanza e che  perciò venivano a ringraziarla ma nessuno della famiglia  ne sapeva niente ci racconta la figlia Mariuccia che aggiunge:  Quando interveniva sul paziente aveva in testa il libro ricevuto dal dottore di Borgosesia ma rivolgeva sempre almeno un pensiero al Signore perché quel dono che le aveva gratuitamente dato potesse portare del bene anche agli altri.

Maria e i medici

Il rapporto con la medicina ufficiale o meglio con alcuni medici ospedalieri non fu proprio idilliaco. Quando un paziente si presentava con una frattura all’osso lei la sistemava e poi lo spediva all’Ospedale: qualche medico che oramai la conosceva scriveva sul referto: prima visita Maria di Vergano e questo la faceva sorridere ma la tranquillizzava anche  ricorda Mariuccia.  Il dottor  Di Francesco la veniva a prendere per sistemare la frattura del paziente e poi procedeva con l’ingessatura   rincara il figlio Marco che ricorda anche le aspre critiche di certi dottori, specialmente di Traumatologia, per il lavoro della mamma.

In questo contesto, ben si inserisce anche questo aneddoto che ci viene confermato da entrambi i figli:  Un giorno si fermò nel cortile di casa una grossa macchina dalla quale scese una signora ben vestita con una ragazzina che da qualche giorno non muoveva più un braccio. Entrò in casa e la mamma Maria la fece accomodare sulla sedia, ascoltò l’accaduto e poi intervenne con una forte trazione all’arto. La ragazzina strillò un po’ forte e si mise a piangere: questo provocò le ire del padre che apostrofò in malo modo sia la moglie colpevole di averla voluta portare a Santo Stefano  sia anche la signora Maria per l’intervento. Sono intervenuta io in difesa della mamma che se ne stava zitta ma ad un certo punto si rivolse alla ragazzina  e tenendo in alto una caramella  le chiese di prenderla col braccio appena sistemato. Quella alzò il braccio per prenderla e quando il padre vide quel movimento cambiò subito aspetto, si profuse in mille scuse e ci abbracciò tutte quante dicendo : sono un medico di Milano ed ho provato di tutto per guarire il braccio senza riuscirci e non pensavo proprio che lei potesse ridare la mobilità all’arto.

Riceveva i pazienti sempre con molta gentilezza ed  un sorriso  disarmante sulla bocca, come se avesse invitato degli amici per un caffè, ma poi quando si trattava di sistemare la slogatura  dopo averti  invitato a rilassare il muscolo raccontandole la dinamica dell’incidente, ecco che arrivava il colpo, una botta….. dolorosa sì ma anche risolutiva che rimetteva le cose al loro posto.  

A lei si rivolgevano non soltanto gli abitanti del circondario ma venivano anche da lontano come quel calciatore  della Juve , un certo Boniperti da Barengo che  deve essersi trovato bene perché mandò poi anche altri compagni di squadra.

 

 

Maria e la guerra

Abbiamo già accennato al periodo di vacche magre in cui si trovò ad allevare la numerosa famiglia, complicato in peggio dal sopraggiungere della seconda guerra mondiale che, colmo dei colmi,  le vide strappare il marito richiamato alle armi nel ‘42 perché celibe,  lui che allora aveva  già cinque figli ! Che cosa era successo ?  Il signor Duella era nato a Vergano, comune indipendente  fino al 1928[1]  anno nel quale risultava ancora celibe e nel passaggio degli archivi al comune di Borgomanero non erano stati effettuati gli opportuni aggiornamenti per cui venne segnalato celibe alle autorità militari che emisero la cartolina precetto. Poi tutto venne chiarito e poté far ritorno a casa.

Ma  torniamo alla moglie che nel frattempo non cessò per paura la sua opera ma la guerra purtroppo le procurò nuovi clienti, sia da una parte che dall’altra. Diverse volte si presentarono con la camionetta per prenderla e portarla da qualche ufficiale  o graduato ferito e bisognoso delle sue cure. Non sempre il viaggio fu dei  più agevoli perché capitava anche che la sparatoria fosse ancora in corso.

Andava ovunque la chiamassero sia partigiani che fascisti per non dire tedeschi o americani : per questo era stimata  e lasciata in pace.

Due episodi ci vengono ricordati dai figli: il primo ci viene raccontato da Mariuccia quando dice che la mamma stava andando a Borgomanero in bicicletta e, giunta nei pressi della cascina “Pajela”, vide che stava marciando verso Santo Stefano un plotone di fascisti. Si ricordò di aver appena visto in piazza  un gruppetto di giovanotti , che sapeva essere partigiani, impegnato a tirarsi palle di neve.  Allora si fermò e fece per tornare indietro ma le intimarono l’ALT!  a voce alta. Alzò le mani e lasciò  cadere la bicicletta e poi, mentre si avvicinavano, si chinò facendo finta di trafficare attorno alla catena. Questo piccolo trambusto fu sufficiente perché la vedetta partigiana, appostata nei pressi del campo sportivo, potesse dare l’allarme e tutti sparissero in tempo.

L’altro episodio ci viene invece raccontato da Marco che ricorda come un giorno arrivarono in paese due carri armati e tre autoblindo che si fermarono nei pressi della sua abitazione. Scese dall’autoblindo un ufficiale tedesco che fu ricevuto dalla mamma per le cure: ebbene, quell’ufficiale tornò qualche anno dopo la fine delle ostilità per ringraziare ancora una volta la signora Maria.

Altri ricordi ci vengono raccontati dai figli ma non li abbiamo riportati perché riteniamo che questi siano già sufficienti a tratteggiare la vita e la personalità della Maria röngiaossi : non vogliamo farne un’eroina o una persona in odore di santità, sappiamo bene che entrambi questi aspetti sono lontani dal suo carattere perché  rifuggiva da  tutto  quanto potesse metterla in risalto. Lei era una donna normale, semplice alla quale il Signore aveva fatto il dono di una sensibilità particolare che lei riteneva di dover mettere a frutto per il bene di tutti coloro che a lei si rivolgevano e nulla più, non c’era motivo  per cui vantarsi.

Vogliamo concludere riprendendo, ma soprattutto  condividendo, parte dell’articolo scritto da R. Masullo  per “La Gazzetta del Popolo  nel mese  di ottobre  1988  in occasione dei suoi funerali:

Grazie Maria Aggiusta Ossa……….una persona grande nella sua umiltà, sempre disponibile e alla portata di tutti e , soprattutto, sempre provvista di quella bonaria cordialità con cui accoglieva le persone che si recavano da lei……Anche se, in questi casi, le belle parole non servono a nulla, lasciateci almeno dirle Grazie”.

 

 

 

Un grazie ai figli  Mariuccia, Marco e alle nuore Pia e Gianna.



[1] Vergano Novarese cosi chiamato con regio decreto l’8 aprile 1863 già comune di Vergano nel 1814 cessa la propria indipendenza nel 1928.